Lorenzo Benadusi

Università di Bergamo

#storiapubblica

Quel che resta del fascismo

Esiste il fascismo storico con i suoi tratti specifici che lo caratterizzano dal 1919 al 1945. Poi ci sono alcuni aspetti che rientrano in un’idea generica di fascismo che sono soprattutto ilradicalismo e l’intransigenza, la rigida contrapposizione tra amico e nemico, la mancanza di rispetto per lo stato di diritto, il liberalismo, il parlamentarismo e la democrazia procedurale, l’intolleranza verso chiunque esprima opinioni diverse, l’esaltazione del nazionalismo xenofobo, della forza e del virilismo. La sovrapposizione tra fascismo storico e fascismo generico può far scattare un antifascismo di maniera, e aggiungerei un anti-antifascismo di maniera; allo stesso tempo può portare sia all’inutile ricerca di un fascistometro da applicare a individui e società, sia a una chiusura aprioristica verso qualsiasi tentativo di utilizzare l’analogia per comprendere fenomeni diversi. Mettiamo quindi da parte questa sovrapposizione purché, come nota giustamente Raffaele Romanelli, “questo non ci distolga dal guardare a ciò che succede e interrogarci sulle sue radici e i suoi effetti”. L’attenzione a evitare l’anacronistica identificazione tra fenomeni storici diversi non deve dunque esimerci dall’analizzare i loro tratti comuni, le similitudini, i ritorni di fiamma o il riemergere di aspetti del passato rimasti a lungo latenti.

Ci sono poi richiami espliciti al fascismo storico da parte di movimenti politici attuali e in alcuni casi affinità, legami e alleanze con i gruppi neofascisti. La Lega di Matteo Salvini ha ad esempio avviato un dialogo con l’estrema destra, e CasaPound in particolare, dovuto sia alla necessità di allargare il proprio bacino elettorale al Centro e al Sud, sia alla possibilità di garantirsi una militanza attiva, sia a una convergenza di temi, a partire dalla proposta comune “prima gli italiani”. Il sodalizio iniziale del 2014 è stato prima sancito dall’accordo elettorale tra Borghezio e CasaPound per le elezioni europee e poi dalla manifestazione di Milano contro l’immigrazione del 18 ottobre, quando leghisti e “fascisti del terzo millennio” hanno sfilato insieme per porre fine “all’invasione”. Nel novembre del 2015 obtorto collo Salvini ha accettato di non includere CasaPound nel nuovo centrodestra, continuando tuttavia a esprimere apprezzamenti per il fascismo: con la solidarietà al gestore di una spiaggia di Chioggia che nel suo stabilimento esibiva slogan fascisti e cartelli con immagini di Mussolini; indossando capi di abbigliamento del marchio “Pivert” legato a doppio filo con CasaPound e soprattutto utilizzando in più occasioni frasi del Duce, da “chi di ferma è perduto” a “tanti nemici, tanto onore”.

Salvini adotta inoltre il metodo di banalizzare il fascismo in realtà per legittimarlo, di conseguenza tende ad associarlo a qualcosa di completamente altro. Sostiene ad esempio che «a Bruxelles c’è ben di peggio di Mussolini, non hanno camicia nera o olio di ricino ma hanno spread e finanza, fanno peggio del fascismo». Oppure, per spostare l’attenzione dalla vera natura del totalitarismo, ricorre all’abusata valorizzazione delle cose buone fatte dal fascismo, senza per altro rendersi conto che alcune tra quelle da lui citate, come l’Altare della Patria o il sistema pensionistico, furono realizzate ben prima dell’avvento al potere di Mussolini.

Quello che mi sembra però più preoccupante è una strategia che mira a creare volutamente confusione per rendere poco chiara la direzione impressa al proprio movimento politico. Questo vale per i 5 stelle ma anche per la Lega, entrambi si richiamano infatti al popolo, per apparire trasversali e non riconducibili alla contrapposizione destra/sinistra. Stupisce come anche alcuni studiosi (Marco Tarchi in primo luogo) abbiano avvalorato questa interpretazione, quando basterebbe cogliere l’insopprimibile avversione alla sinistra di questi due movimenti per capire come il nemico comune funga da collante della loro coalizione. Avversione alla sinistra espressa su scala nazionale e internazionale e ribadita dai legami con le altre forze di estrema destra presenti in Europa e fuori dall’Europa. Del resto, se persino alcuni studiosi come Alessandra Tarquini arrivano a sostenere che il fascismo storico non ha nulla a che fare con la destra conservatrice, è chiaro che si sposta volutamente l’attenzione solo sugli aspetti rivoluzionari di chi mira al cambiamento, senza tener conto degli elementi più legati alla tradizione e all’autoritarismo reazionario. Mentre come mette in luce Enzo Traverso non bisognerebbe mai dimenticare che il successo di Mussolini è dovuto anche al fatto di essere “un fenomeno tipicamente controrivoluzionario”, o detto in altri termini, “il fascismo non sarebbe mai esistito senza l’anticomunismo, benché non si riducesse a quest’ultimo”. Appare quindi troppo disinvolto il ricorso al termine populismo, usato di volta in volta per descrivere il neofascismo e il nazionalismo, l’antielitismo pentastellato e il sovranismo leghista. Secondo Pierre-André Taguieff ad esempio “il fatto che oggi, nel discorso degli specialisti come nel linguaggio giornalistico, i termini populismonazional-populismo e nazionalismo sembrino spesso reciprocamente sostituibili segnala sia una fluttuazione semantica sia l’incertezza delle definizioni date”. Insomma anche in questo caso il rischio è quello di utilizzare categorie troppo generiche che finiscono per appiattire le differenze, in un magma indistinto che va da Trump a Putin, da Salvini a Le Pen, da Erdogan a Orban.

Ad alimentare la confusione sono gli stessi protagonisti della vita politica italiana che, a partire dalla fine delle ideologie, hanno attinto a slogan, linguaggi e riferimenti culturali spesso privi di ogni coerenza o quanto meno difficilmente riconducibili a un’unica matrice. Si tratta di un caleidoscopio dove è facile trovare qualcosa da condividere e con cui identificarsi, a costo però di accettare o ignorare gli altri aspetti meno congeniali al proprio modo di pensare. Rendere poco comprensibili i riferimenti politici serve a depotenziare la capacità di critica dei cittadini. Ancora una volta la Lega ci offre un chiaro esempio di questa propensione a mischiare le carte, passando con disinvoltura dall’esaltazione di Braveheart a quella della Nutella, o dal chiudere i propri raduni con il Nabucco e ora con Il cielo è sempre più blu, con le strofe di Rino Gaetano su “chi odia i terroni, chi canta Prévert, chi copia Baglioni”. Le divise e le felpe scelte appositamente a seconda dell’interlocutore, sono solo un esempio di questa continua captatio benevolentiae; e a ben guardare in questo bricolage quello che realmente fa da collante è da una parte la figura del capo, anzi del “capitano”, e dall’altra il nemico: la sinistra appunto e poi l’Europa e gli immigrati. Anche l’immagine del leader tende a mostrarsi con due volti ben distinti: il primo è quello del maschio, del truce, dell’uomo solo al comando, forte e risoluto. La ruspa ne è l’emblema perché richiama l’idea di far piazza pulita, di eliminare e bonificare. Allo stesso tempo però c’è l’immagine del buon cattolico e padre di famiglia, che si prende cura e si preoccupa, ed è costretto dagli eventi ad essere duro anche se non vuole. L’uomo virile, che si mostra anche negli aspetti più intimi della propria vita privata, rassicura gli elettori e le elettrici riconoscendo apertamente di essere “un italiano medio, con la panzetta, senza tatuaggi”, che alla palestra preferisce una “brioche alla crema”.

L’alternare a seconda dei momenti i due volti è funzionale a soddisfare un elettorato multiforme e, rendendo poco comprensibile quale dei due aspetti sia prevalente, è possibile far passare provvedimenti altrimenti difficilmente accettabili da parte dell’opinione pubblica. In questo modo inoltre è quasi impossibile valutare quanto le continue trasformazioni di grado delle misure intraprese comportino a lungo andare un effettivo cambiamento di sostanza. Ed è forse proprio questa natura poliedrica un tratto comune con il fascismo, così abile a modulare il suo discorso politico a seconda delle circostanze e degli interlocutori. L’ondeggiare tra sinistra-rivoluzionaria e destra-reazionaria, l’inglobare culture e ideologie differenti, alternare rispettabilità borghese e in uniforme sono solo alcuni dei diversi volti del fascismo. E come allora anche oggi è quindi forse necessario seguire l’invito di Delio Cantimori a sforzarsi di non ridurre tutto a un blocco monolitico e a immaginare Moby Dick che tutto inghiotte e porta a perdizione, per cercare invece “di discernere la varietà di correnti, movimenti, tendenze, persone, interessi economici e finanziari, ecc. ecc., e anche illusioni, fantasie, incoscienze. [Perché] se non si comincia a guardare le cose in questo senso, e se si tien fermo a quegli schemi generali, si corre rischio di perdere il senso delle proporzioni e delle prospettive, tanto di quelle vicine che di quelle lontane, e di cadere nel più repellente dei moralismi: quello storico-politico. Un fascismo preso in blocco, un antifascismo preso in blocco, indifferenziato quello, indifferenziato questo”.

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